Piano Giovani
L’Italia ha bisogno di cambiare passo

Capiamo bene che il ministro Poletti sia preoccupato dei tanti giovani disoccupati privi dei contatti necessari e delle informazioni sufficienti per entrare nel mercato del lavoro. Sotto questo profilo l’idea di costruire una rete di correlazioni può anche assumere una funzione utile, soprattutto se aziende e Regioni vogliano consultarla per valutare curriculum ed opportunità da offrire ai tanti disoccupati in aumento. Solo che il fatto di poter vantare 108 mila iscritti al portale annunciato il primo maggio dal ministero del lavoro, non significa dirci quanti di questi hanno trovato una vera occupazione e soprattutto quando la troveranno. Così come non basta cambiare le forme contrattuali per creare lavoro e generare sviluppo, non sarà rispondendo ad un annuncio che troveremo lavoro. Perché manca il lavoro prima della rete dei contatti e per avere un “piano lavoro” servirebbe almeno un investimento, qui non vediamo nemmeno la pianificazione, infatti c’è semplicemente “un piano giovani”. Buone intenzioni, di cui essere grati al ministro Poletti, senza che ci si possa aspettare gran che. Se vogliamo accompagnare e stimolare la crescita, servono le riforme strutturali, cambiamenti sul lungo periodo. Un intervento sull’IRAP, rimodulandone la base imponibile, comporterebbe un incentivo maggiore di qualunque rete di contatti che rischiano di restare inutilizzati. Meglio premiare le aziende che innovano e investono in ricerca, ridurre il cuneo fiscale, piuttosto che mobilitare i giovani su una speranza senza appigli concreti. Come se bastasse sapere chi sono i 108 mila disoccupati che hanno risposto a Poletti per risolvere i loro problemi. Siamo sicuri che gli ottanta euro in più nella busta paga di dieci milioni di italiani si tradurranno in un significativo aumento dei consumi ma non sarà che iscrivendosi nelle liste del piano Giovani, si risolverà il dramma della disoccupazione giovanile a cui, tra l’altro, si aggiunge quella fra i 35 e i 50 anni. Il governo avrebbe bisogno di una visione capace di prospettare un impegno di 3-5 anni, quando per ora si limita, forse, ad affrontare la fase di emergenza. Un autentico progetto di crescita strutturale del paese, quello di cui c’è bisogno, manca. E’ vero che né Poletti, né Renzi stanno con le mani in mano. Al contrario, si danno un gran da fare anche contando di impressionare i partner europei. Poi succede che il premier si trovi di fronte tutto il gelo dei paesi del nord dell’Europa, come è accaduto ieri a Bruxelles. Se si vuole uscire dai ghiacci che ci circondano, serve qualcosa di più del piano giovani, con tutto il rispetto per il ministro Poletti.

Roma, 4 luglio 2014